Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2018: il 2% dei RSU, un potenziale tesoro.

Un piccolo tesoro che non viene valorizzato: è quanto è emerso dal Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2018 presentato nei giorni scorsi a Roma da Occhio del Riciclone, in collaborazione con Utilitalia, la Federazione delle imprese italiane dei servizi idrici, energetici e ambientali.
Si tratta di rifiuti costituiti da beni durevoli, che potrebbero essere riutilizzati, avere cioè una seconda vita, dando origine ad un risparmio di ben 60 milioni di euro.
Un disegno che però necessita di uno specifico quadro normativo per favorire lo sviluppo delle filiere.

Quali sono i beni durevoli riutilizzabili descritti nel Rapporto Nazionale.

Si tratta di oggetti in buono stato e facilmente collocabili sul mercato, che spesso confluiscono nel flusso dei rifiuti urbani, in una quantità che supera le 600.000 tonnellate annue.
Vale a dire che circa il 2% della produzione nazionale di rifiuti è composta da questi “beni”, che sono:

  • mobili
  • elettrodomestici
  • libri
  • giocattoli
  • oggettistica

Il loro riutilizzo porterebbe ad un risparmio notevole per il Paese sui costi per lo smaltimento, senza togliere il valore degli oggetti di seconda mano. Un messaggio chiaro e di grande valore educativo, che però necessita di essere supportato da norme che facciano sorgere e poi regolamentino le filiere, Decreti Ministeriali per l’attuazione e  semplificazione delle procedure.

rapporto-nazionale-riutilizzo-2018

Le iniziative per valorizzare i beni durevoli.

Per valorizzare nella maniera più adeguata questo piccolo importante tesoro per l’Italia, si stanno diffondendo diverse iniziative.
Tra queste, l’avvio di raccolte dedicate e centri di riuso interni o adiacenti ai centri di raccolta per l’intercettazione dei beni riutilizzabili.
Si rendono però necessari interventi specifici che, oltre alla intercettazione, siano in grado di:

  • creare impianti di “preparazione per il riutilizzo” su scala industriale;
  • ottenere le autorizzazioni al trattamento;
  • realizzare impianti di ricezione dei rifiuti provenienti dai centri di raccolta comunali e dalle raccolte domiciliari degli ingombranti;
  • reimmettere i beni in circolazione dopo un’accurata igienizzazione;
  • effettuare i dovuti controlli e le eventuali riparazioni.

L’esempio di Vicenza.

Un esempio che dimostra la fattibilità di questi impianti è dato dalla provincia di Vicenza, dove il progetto europeo PRISCA, ha permesso di implementare un impianto capace di avviare a riutilizzo circa 400 tonnellate l’anno di rifiuti costituiti da beni durevoli.

L’iniziativa privata e l’esempio dell’Emilia Romagna.

Le principali realtà che operano nel settore del riutilizzo, oggi, sono i negozi dell’usato conto terzi e il commercio ambulante.
Sul sito esper.it si legge che nel nostro Paese si contano circa 2.000-3.000 negozi distribuiti sull’intero territorio nazionale, soprattutto al Nord e al Centro, per un totale di operatori dell’usato che si attesterebbe all’incirca tra i 50.000 e gli 80.000.
Il dato su cui è necessario lavorare è che sono solo 9 le Regioni che hanno incluso nella loro pianificazione ambientale l’avvio di Centri di Riuso da affiancare ai Centri di Raccolta dei Rifiuti Urbani, ma nessun progetto è realmente decollato.
Uno dei pochissimi esempi positivi è dato dall’Emilia Romagna, dove è partito il progetto “Cambia il finale” di Hera, la multiutility leader nella regione), che è stata capace, su bacino di circa 2 milioni di abitanti, di riutilizzare 530 tonnellate di beni durevoli in un anno, coinvolgendo 25 Onlus e un centinaio di soggetti svantaggiati.

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